domenica, gennaio 29, 2006

Salmo 39 Capitolo Primo

CAPITOLO I° - ...Baderò ai fatti miei, per non peccare con la mia lingua. Porrò un bavaglio alla mia bocca sino a che l'empio mi stia davanti...-. Il reverendo Cornelius Abhramson tuonò contro il suo gregge di anime, pronunciando con un tono ammonitore queste parole, all'inizio di uno dei suoi sermoni domenicali, in grado di raggelare il sangue anche al più miscredente e nero raccoglitore di arachidi della calda contea di Brownsville, Georgia. Jeremia Hutto, detto "Chet", non fece nemmeno in tempo a concludere l'accordo sull'organo, ripose in fretta il foglio con le parole di "Save me, Lord !", che teneva dinnanzi solo per impegnare un po' di tempo nel riporlo; non era infatti in grado di vederlo poichè era cieco dalla nascita, ma anche se l'avesse visto, non era in grado di leggerlo poichè nessuno si era mai preso l'affanno di dirgli che a quello serviva. Il coro stava terminando di sistemarsi nel bancone di fianco all'altare ed ancora risuonava l'eco del canto che, da quella piccola chiesa metodista, si era innalzato sino a Dio; la voce di Celia, la figlia del reverendo, si attardava nella mente di Chet mentre, come sempre, cercava di prestare tutta la sua attenzione al fiume di saggezza che straripava dalla bocca del reverendo Abhramson. Poche delle parole che Chet raccoglieva, come se gli venissero scagliate contro, assumevano un significato preciso nella sua testa, ma quell'inconsistenza e quei vuoti venivano prontamente colmati dall'inattaccabile convinzione che, proprio per tal motivo, la loro oscurità era almeno pari alla incontestabile verità di cui erano portatrici. -...Me ne stetti muto nella sventura, ma si esasperò il mio dolore...-, continuò a predicare, offuscando ancor più il suo sguardo, se ciò era possibile, e Jeremia piegandosi sulla parola "..muto", che aveva udito più distintamente delle altre, considerò la sua cecità contemplata in quelle sventure di cui credeva narrasse il reverendo, e ritenendosi coinvolto nell'omelia e quindi nell'attenzione del Signore, prestò orecchio come non mai a ciò che stava per udire. -...Fammi noto, Signore, il mio destino, la misura dei giorni miei quale sia,...- e dopo un'interminabile pausa, durante la quale il pastore trafisse con lo sguardo ad uno ad uno i presenti, concluse: -...perch'io sappia quanto son caduco.- Nel profondo silenzio che seguì, quasi si riusciva a sentire lo sforzo mentale di ogni fedele che, all'unisono con l'intera assemblea, di colpo divenuta conscia del suo peccato, tentava di allontanare ogni pensiero o desiderio che potesse nascondere la consapevolezza della propria mortalità. Certamente non tutti seppero interpretare quella sacra citazione dal libro dei Salmi, considerando che il termine "caduco" non poteva certo far parte del vocabolario del signor Simmons, il becchino, o di Miss Dizzy Laporte, la conduttrice della casa...in fondo al viale, o di "Asso" Bercison, il giocatore d'azzardo, o infine del sindaco Bishop, ma anche per questi signori la parola assunse un tono familiare, come se, in fondo, appartenesse anche al loro mestiere. - Ebbene, o Signore, disponi di me come ti piace, poichè io sono il tuo servo...-, pronunciò con enfasi innalzando la braccia verso la volta della chiesa. - Alleluja ! Alleluja ! - accennò in risposta Sarah Travis, che, se la facilità nel raggiungere i toni più acuti cantando nel coro, fosse segno di un'anima maggiormente timorata di Dio, si potrebbe annoverarla tra le signore bene più devote della cittadina, sebbene sia troppo amica di Miss Dizzy, come qualcuno mormora. - Si, alleluja ! - fecero eco alcune voci dal fondo dell'assemblea, tra le quali non fu facile riconoscerne i rispettivi proprietari, come tentarono di fare le donne in prima fila. -...E così sia ! - accompagnò sotto voce, quasi ripetendolo mentalmente, Chet, dal suo angolo nella penombra. Si sa che il tono di un'esclamazione è fedele testimone di quanto si trattiene dentro più che di ciò che viene esternato, e ciò consentirebbe al reverendo Abhramson di misurare il grado di devozione dei fedeli che avevano in quel momento parlato, facendo giustizia di un primato soltanto cronologico. Ma che Jeremia fosse uno dei presenti più devoti, non c'era affatto bisogno di renderlo pubblico, poichè la sua devozione aveva origine in un atto di riconoscimento che è più frequente tra coloro che hanno sperimentato la "servitù" terrena che tra quelli che agognano a quella ultraterrena. Di padroni, infatti, Chet non ne aveva avuto uno, bensì almeno venti, tante quante erano le "ospiti" di Miss Cynthia Gordon, la proprietaria del "Red River", il bordello di lusso giù a Columbus, dove, gli dissero, una sera alla fine del secolo, era nato. Di giorno si affaticava nel rendere il più confortevole possibile la permanenza delle ospiti, preparando colazioni alla maniera del Sud, con pane di granturco caldo, pollo fritto, prosciutto, caffè, latte e burro, di notte intratteneva gli impazienti e gli indecisi, gli occasionali e gli innominabili, ma tutti distinti frequentatori, ora solleticando, ora martellando sul pianoforte nell'ingresso, il più "solido" blues che si fosse mai sentito. Quelli che, grazie alle loro abitudini, ebbero modo di ascoltarlo, giurano che Chet suonasse quella "musica del diavolo" in maniera davvero...divina. Come per il resto degli abitanti di quella casa, il talento che ognuno dimostrava possedere nel suo "ramo", aveva un'origine inequivocabilmente legata alla personale natura, e ciò consentiva a tutti di non dover ringraziare nessun altro se non le rispettive madri. Sebbene Chet non sapesse a chi dover essere riconoscente, il fatto di avere non una ma venti madri, gli era più che sufficiente. Ora aveva anche un padre, (o qualcosa del genere), un uomo saggio ed austero, che, come ogni buon padre dovrebbe fare, lo strappò dalle gonne di queste "genitrici" troppo disposte a lasciarle cadere, poichè l'educazione di un uomo non è cosa da madre. Due settimane dopo che incendiarono il "Red River", il reverendo Abhramson, infatti, lo raccolse nella prigione della contea, dove era finito per vagabondaggio e ubriachezza molesta. La sua educazione la riceveva ora, dopo sessantaquattro anni in cui la sua cecità gli aveva aperto tante porte nel mondo "di dentro", almeno quante gliene aveva chiuse verso il mondo "di fuori".

1 commento:

Anonimo ha detto...

che noia diocane.. non si può leggere