domenica, agosto 03, 2008

Che peccato!

Non matto,
non artista,
non matto artista,
semplicemente solo.
momento sbagliato,
posto sbagliato.

mercoledì, febbraio 28, 2007

lungolago

Nella rete di Francesco il pescatore stamane c'è uno strano pesce.

Bruma gelata che sale dalle acque del lago e penombra di un'alba che fatica a farsi largo tra le pareti dei monti che lo custodiscono, certo non lo aiutano a distinguere meglio il pescato.

Scruta il fondo della barca, ancora nero come l'inkiostro, ma il vento che si sta alzando e porta le onde a sbattere sulla prua e gli schizzi a frangersi sul volto, messaggeri di improvvide news, lo distraggono dall'harduo dipanare.

Inforca i remi negli scalmi, i nervi si tendono, docili collegamenti tra lui e il natante. Piove, approda sul lungolago.

Afferra l'insoluto groviglio e balbetta qualcosa:".........Vu, Vu, Vu...vattene !" e segue con sguardo svuotato quel punto itinerante.

Tornerà indomito ad ogni levar dell'alba a fendere le onde per reiterare quel furtivo incontro che ora è sempre lì.

lunedì, agosto 14, 2006

I Dupree, un problema di verita'

CAPITOLO I°

Soltanto lo zio Albert Lucius Morton sarebbe riuscito a leggere il giornale tenendolo appiccicato alle lenti dei suoi spessi occhiali, ma c'era una ragione precisa.
Anche per leggere questo racconto non serve arrivare a strofinare il proprio naso sulle pagine, nè tantomeno porre il libro ad una distanza tale a quella che consentirebbe di ammirare nella sua completa floridezza Miss Laura Lee.
E' una questione di distanze, appunto..., o meglio di angoli e modalità di osservazione, di prospettiva.
Dunque oltre all'abbondanza, per così dire...fisica, il Signore era stato generoso con Miss Laura Lee anche per quanto riguardava i suoi polmoni, dai quali era in grado di soffiare tanta aria da far vibrare, insieme alle sue corde vocali, le bretelle di tutti quegli uomini che la sera si assiepavano nel suo locale.
Quel locale era, in realtà, la vecchia chiatta con la quale suo nonno Samuel trasportava merci e animali da un argine all'altro del fiume, prima che costruissero il ponte giù a Maynard.
Ora quelle quattro assi inchiodate come meglio poteva fare una donna, ormeggiate sulla riva destra del fiume, vicino ad un grosso salice, ricoperte con un tetto di paglia e fango, si imponevano alla vista di ogni vagabondo che percorresse il sentiero per Georgeville.
Le pareti di legno e cartone che costituivano il capanno dove il vecchio barcaiolo viveva, nascondevano invece agli sguardi più indiscreti, curiosi o bigotti, quella umana promiscuità che nelle sere di festa, al suono del blues, dimenticava il ruolo che il resto della civiltà gli aveva attribuito.
Il sentiero deviava bruscamente a sinistra, verso il salice, e dopo qualche passo nell'acqua bassa, si saliva su una malsicura passerella che conduceva ad un porta sulla quale si leggeva semplicemente: "LAURA LEE".
Gli spettacoli che Miss Laura offriva nella sua barrel-house, avevano quasi sempre due spettatori, non del tutto indesiderati, che, dai loro insoliti punti d'osservazione, immagazzinavano nelle loro giovani memorie, immagini e suoni che avrebbero costituito un invidiabile, quanto prezioso archivio, per le loro imprese nel mondo degli adulti.
Sebbene la mia, come credo la vostra attenzione, sia maggiormente incline a seguire le "idee" di Miss Lee, protagonisti delle vicende narrate, sono invece quei due clandestini che dimostravano di ben conoscere come trascorrere proficuamente una sera di "Ognissanti", in una tranquilla cittadina agricola del Sud.
Moses ed Elmore Dupree, rispettivamente diciassette e tredici anni, potevano indubbiamente asserire che quel Padre Eterno, che era stato così generoso con chi ben sappiamo, non lo era stato affatto con loro, e tantomeno con i loro genitori.
Naturalmente loro non se ne lamentavano, anzi ciò costituiva un pretesto per interpretare la volontà divina, che desiderava mettere alla prova la loro capacità di sopportazione, come predicava la zia Petunia, presso la quale vivevano.
Lo zio Lucius lo attribuiva invece ad un preciso disegno degli uomini, che non aveva niente di provvidenziale, e richiedeva semmai l'intervento dall'alto, affinchè non si ritenesse autorizzato ad intervenire lui stesso.
Comunque fosse, i due fratelli consideravano che un occasionale "strappo" alla catechesi di zia Petty, non poteva certo provocare le ire divine più di quanto non dimostravano di essere già state risvegliate.
Lo strappo era appunto costituito dalle visite notturne al ritrovo sul fiume di Miss Laura.
Difficilmente due sentieri che percorrono i campi assolati del Sud non finiscono per incontrarsi da qualche parte, forse soltanto un remoto incrocio in prossimità di un ruscello, oppure un dimenticato vialetto che li interseca.
Quello che univa le due anime dei fratelli Dupree era proprio unicamente questo segreto accordo, dopo di che ognuno imboccava la propria strada in direzione della vita.
I fiumi della Louisiana non hanno affatto fretta di raggiungere il mare; si distendono volentieri in ogni ansa e si trattengono silenziosamente in ogni canale, saggiamente considerando l'inutilità di inseguire una meta ormai prossima.
Moses, quella sera di ognissanti, sembrava l'unica persona in quella regione a non partecipare di quest'atmosfera.
Raggiunse la sua barca in riva al fiume, la liberò dal groviglio dei rami del salice che la trattenevano in quello stato di calma secolare, la lanciò sulla superficie argentata verso i primi accordi blues.
Il Mississipi non lo spinse in nessuna direzione, semplicemente osservava, il remo, invece, muoveva vorticosamente l'acqua al ritmo del suo cuore, finchè si fermò in prossimità dell' "inferno galleggiante".
Raggiunse in breve il suo osservatorio privilegiato, assicurò l'imbarcazione ad uno dei pali che sosteneva, a mezzo metro dal pelo dell'acqua, il locale di Miss Lee.
Si sdraiò sul fondo della barca attento a posizionarsi proprio sotto un'ampia fessura attraverso le assi del pavimento.
La sua prospettiva in quell'attimo si ribaltava, come se stesse scoperchiando la botola di un universo sotterraneo, come se stesse osservando una donna attraverso lo spazio tra due bottoni forzosamente chiusi all'altezza del seno.
Le enormi scarpe, piene di fango, sfilavano allora dinnanzi al suo spiraglio sull'inverosimile, la polvere fioccante sembrava sfidare la sua ostinazione, tentando di renderlo impreparato di fronte all'attimo atteso, in cui un paio di mutande indugiavano sull'ingordo baratro.
Un bianco bagliore innondava quella fenditura, mentre per un istante il respiro si interrompeva.
Moses considerava allora la zia, timorata educatrice, il fiume, silenzioso complice, Dio, inerme osservatore, alla luce di quel raggiunto obiettivo, come ostacoli la cui esistenza scagionava i più deboli per i loro insuccessi.
La vita, che gli aveva disposto il sentiero come il bosco intorno alla distilleria clandestina del vecchio Hathaway, lo gratificava ora con quel risultato, di cui poteva a buon diritto godere a piene mani.
Alla fine di settembre, a Georgeville, c'è una fiera durante la quale viene premiata la zucca più grossa: i contadini dedicano pertanto tutte le loro attenzioni per quell'esemplare del loro campo che appare maggiormente degno di ottenere il riconoscimento, lasciando alle donne la cura delle restanti, meno appariscenti, commestibili rotondità.
Moses era proprio alle prese con la sua metaforica zucca.
Come quel contadino, aveva scelto l'angolo del suo campo atto a tale scopo, aveva rimosso la terra in profondità, aveva portato l'acqua, aveva atteso le cure del tempo, aveva lasciato all'altrui attenzione ciò che non rientrava nel suo piano.
Il ritmo travolgente del blues giungeva all'orecchio del nostro ascoltatore troppo sommerso nel rumore dei passi che battevano sulle assi del pavimento, affinchè potesse rappresentare per lui una giustificazione a ciò che avveniva di sopra, nè tantomeno, da quella posizione, poteva apprezzare l'ipnotismo vocale delle esibizioni di Miss Lee, più delle sue facoltà "nascoste".
Sebbene non avesse preferenze particolari per alcun mondo "sottogonnale" si trovasse a sorvolare la sua visuale, vi erano occasioni in cui la difficoltà ad intravedere quell'alone di biancheria sullo sfondo di ogni scuro ricettacolo (quasi fosse un fiore sul punto di sbocciare), alimentava l'idea di un'assoluta mancanza dell'indumento, facendolo gioire di queste esperienze rispetto alle altre.
Così fu anche quella sera.
Una figura in particolare, di cui aveva imparato nel frattempo a riconoscere l'incedere, stuzzicava la sua fantasia in quella direzione.
Come vedete, i sensi di Moses erano all'erta come i cani nel cortile della fabbrica di birra di Mr. Burke : l'occhio selezionava i protagonisti in quello spiraglio di semioscurita ed indagava i particolari.
L'orecchio raccoglieva lo strisciare sulla superficie legnosa stimando l'avvicinarsi del proprietario; il naso catalogava gli odori o i profumi da associare alle inquadrature.
Tutto si muoveva perfettamente all'unisono intorno all'unico fine, come il martellare del pianoforte, il vibrare della chitarra, il frustare l'aria dell'armonica, il gemito dei polmoni nell'ultimo accordo di "Freight train blues".
Tutto subiva l'implacabile selezione in ragione del grado di importanza e valore attribuito, venendo a collocarsi negli ambiti predisposti, davanti o dietro, come sui tram di Maynard...

CAPITOLO II°

Elmore non aveva una barca, ma i suoi piedi erano in grado di condurlo in città e riportalo a casa in una giornata.
La sua meta, per quella sera, era però più vicina, e non ci fu bisogno di chiedere alle sue gambe di mostrare cosa sapevano fare.
Il locale di Miss Lee si trovava circa mezzo miglio fuori dall'abitato ed Elmore ci giunse con quella rassegnata tranquillità di un raccoglitore di cotone, dopo aver fatto visita a tutti quegli spinosi, quanto prodighi arbusti del campo del suo "Massà".
Saltava da un lato all'altro del sentiero, dentro e fuori i solchi lasciati dal peso dei carri, fermandosi ad ogni pozzanghera alla ricerca di qualche festoso ranocchio.
Rincorreva fino al canneto una lucciola, che andava a competere con un milione di riflessi che la luna appoggiava sul lento fluire del grande fiume.
Tendeva l'orecchio al frusciare di ogni singola foglia dei salici, che si allungavano ad abbeverarsi in un angolo di fiume catturato dal fitto canneto; sembrava non aver una, ma mille mete.
Giunto alla passerella, salì sulla staccionata che cingeva la veranda, si aggrappò alla sporgenza del tetto e vi si arrampicò.
Spostò, con perizia, un fascio di canne che impediva il passaggio per raggiungere la trave che costituiva il suo osservatorio: in quel momento la sua prospettiva si ribaltava, quasi stesse spiando attraverso le nuvole i suoi angeli affaccendati.
Scuri cappellini si trascinavano dietro generose scollature, mentre teste impomatate o crespe, come neri batuffoli di cotone, contrastavano con camicie più o meno bianche.
Nulla, in particolare, o forse tutto, attirava il suo sguardo, come stesse cercando di prestare attenzione ad ogni singola voce di un coro godspell, ad ogni sillaba pronunciata dialogando con il battito delle mani.
Come quel pazzo suono proveniente dal suo banjo, fatto con una padella per il pane ed un vecchio manico di una chitarra abbandonata in soffitta, raggiunse per la prima volta l'orecchio di Gus Cannon, senza pretese di essere nient'altro da quello che era; come i campi fuori la prigione che innondarono lo sguardo di Leadbelly, libero, dopo l'intervento del governatore del Texas, senza pretese di essere nient'altro da quello che erano, lo spettacolo che andava in scena sotto i suoi occhi, travolse il giovane Elmore.
Nessuna strada lasciava intravedere maggiori promesse di un'altra, a quell'incrocio, dopo che Robert Johnson stipulò il suo patto col Diavolo, la vita scorreva in tutte le direzioni: mille travi non sarebbero bastate a sorregere mille piccoli Dupree, spettatori di mille frammenti della danza della vita che scorreva lì sotto al ritmo del blues.
Elmore scendeva in mezzo a quel flusso, gli occhi si attaccavano a quelle frivolezze di pizzo che incorniciavano abbondanze nere, saltavano sui tasti neri e bianchi con le mani di un qualsiasi Skip James, inseguivano le falene che si immolavano sul vetro del paralume.
L'orecchio correva sul washboard (asse per lavare i panni) insieme a quel suono trascinato, entrava tra le corde vocali di miss Lee, cadeva con il wiskhi nel bicchiere, usciva nei silenzi del grande fiume.
L'olfatto si innalzava con l'odore del prosciutto fritto e del pane di mais e le mani scolpivano ogni corpo abbracciato nel ballo.
Una figura lo attrasse, in particolare, al centro di un vortice di sensazioni, senza un'apparente motivazione.
Niente si muoveva all'unisono, ogni cosa seguiva, in un frenetico sviluppo, la sua inevitabile evoluzione, come un gruppo di schiavi che abbandonano la piantagione dopo aver ucciso il sorvegliante.
Tutto scompariva nell'eterna immutabilità del tempo, senza trovare una precisa collocazione, come le acque del Mississipi quando raggiungono il mare.
Moses ed Elmore Dupree, dai loro angoli di mondo, non diedero importanza a quella strana sensazione di familiarità che li attirò intorno ad una vaga ed eccitante figura nel locale di Miss Laura Lee : era la zia Petunia Morton.

EPILOGO

Certo un solo epilogo non sembra sufficiente, ma confido che i rimanenti riterrà opportuno trascriverli il mio buon lettore.
Non una, non due, ma infinite sono le verità, poichè infinite sono le prospettive; questo potrebbe a buon diritto sostenere ogni attento osservatore.
Ma le cose non stanno del tutto così ! (se non da un solo lato).
Il rapporto con la verità può avvenire soltanto su un piano culturale e pertanto determinato da modalità prospettiche; il problema della verità è un problema culturale.
Non può esservi un'antitesi, una non-verità, poichè non può esservi una non-cultura.
L'uomo è un prodotto culturale,...e non può essere altro da sè, o, come dice un proverbio africano: "...per quanto a lungo un tronco galleggi nel fiume, non diventerà mai un coccodrillo."
Nessuno può muoversi, nemmeno per un secondo, fuori dal suo universo culturale,...ma...forse...in privato...dopo lo spettacolo...nella stanza di Miss Laura Lee...

venerdì, agosto 11, 2006

Vicino all'uno

CAPITOLO I° - A domani Elliot ! - sono le ultime parole che ricordi di aver sentito, poi quel dolore lancinante alla mano sinistra, il rumore delle dita che si spezzano con una risata in sottofondo, una gran voglia di vomitare tutto l'alcool che da mesi ti fermenta dentro lo stomaco, ma non ti resta altro che svenire. La mano ti fa terribilmente male quando ti svegli, è ancora presa nella morsa della porta dentro la quale è stata chiusa; l'effetto anestetizzante del peggior wiskie ingurgitato ieri sera è svanito da qualche ora ed il fetore del vomito che inzuppa il tappeto sul quale sei disteso ti innonda le narici e ti penetra nel cervello. Harvey e Mike hanno fatto davvero un bel lavoro solo che avresti preferito non essere sul loro taccuino vicino alle parole "...deve 20.000 $". Grideresti, qualunque ora fosse, se non sapessi che in tuo soccorso si precipiterebbe la signora Mallory, la padrona di casa alla quale devi 300 $ di affitto arrettrati e certamente anche in questo stato troverebbe l'occasione per invitarti a lasciare libero il suo appartamento dopo aver saldato il conto. Vai ad infilare la mano sinistra sotto il rubinetto mentre la destra raggiunge, quasi con un gesto automatico, la bottiglia che tieni nascosta sotto l'acquaio, -...per i casi d'emergenza...- come sei solito raccontare a qualche ragazza che riesci a portarti a casa. Evidentemente di questi "casi" se ne sono già presentati parecchi in questi ultimi tempi perchè la bottiglia è vuota, mentre il sangue che ti sgorga, ora fresco, dalla mano maciullata ha già riempito i piatti nell'acquaio con gli avanzi di pizza della settimana scorsa. Strappi la tendina che oscura la finestrella sopra la cucina e che da' sulle scale di sicurezza; non è ancora giorno, è quell'ora in cui qualcuno sta ripulendo il jazz-club della 37° strada e tuo padre raggiunge la stazione per dormire in uno scompartimento del primo treno per Portland. Guardi quella bottiglia, che non potrebbe essere più asciutta e vuota, pensando che tutto in quel mattino sta congiurando per costringerti a ripensare una vita di cui non esiste metafora più appropriata di quel pezzo di vetro che a giudicare dalle tracce sul fondo deve aver contenuto quasi tutte le più disgustose brodaglie. Dentro quel vetro opaco ha trovato posto anche la disillusione di chi osserva dall'alto dei tetti di uno dei tanti quartieri irlandesi l'intricato labirinto di strade che non conducono da nessuna parte; quelle pareti così sottili e solo in apparenza fragili attraverso le quali hai osservato Padre O'Raley morire, Ma' piangere e Virginia andarsene. Nel frigorifero è rimasto solo un pò di ghiaccio, la scelta diventa inevitabile : sulla mano massacrata o dentro il bicchiere appena riempito. Scegli il bicchiere pensando che dopotutto e meglio non sentire più nient'altro anzichè preoccuparsi soltanto di una parte del corpo, la mano appunto. Il divano letto, in mezzo all'unica stanza dell'appartamento, non è per niente comodo ma finora non hai mai richiesto che lo fosse; senza le pastiglie che ti davano al "Center for Mental Health" di Seattle non è poi così facile addormentarsi e l'insegna luminosa della Pepsi, proprio sotto la finestra che da sul lato sud dell'edificio, non ti aiuta certo nell'impresa. Solo ora ti accorgi che i tuoi due visitatori non si sono occupati solo di te ma anche del tuo "rifugio", il cuscino dentro il quale hai affondato la testa ha assaggiato il coltello di Mike (quello più magro che dicono sia uscito da sua madre servendosi della lama). Il divano ha un grosso squarcio dietro sullo schienale e il piumino vomitato fuori da quella ferita ha fatto scomparire il posacenere sul tavolino davanti a te. L'unico armadio della stanza non è più nell'angolo dietro la porta, ora è un mucchio di legna sfasciata a calci dal quale sporgono alcune camicie ed il portafoto in frantumi. La foto di Ma' si è infilata sotto una sedia rovesciata dove è andato a finire anche il piccolo Freddie, mentre la sua boccia d'acqua, il suo universo, si trova ormai a "miglia" da lui caduta sotto i piedi forse di Harvey (di lui dicono che in tram solo riesce a schiacciare i piedi all'autista). Quando ti volti e ti sollevi oltre lo schienale del divano, preso improvvisamente dall'ansia, nella penombra, sotto la lampada rimasta miracolosamente in piedi al suo posto, impietrita come una guardia del corpo sotto gli occhi della quale è caduto il suo protetto, giace in un'accozzaglia indescrivibile di frammenti di vetro e plastica, sommerso sotto il telo di protezione, inzuppato dell'acqua contenuta dal solo vaso di fiori che ora si è trasformato in una funebre corona a ricordo: il tuo televisore. Balzi in piedi al divano, o almeno a quello che ne resta, lo sguardo allucinato, per ricadere oltre lo schienale in lacrime: - ...Ma che bisogno c'era di tanta crudeltà...-, pensi mentre vai ad infilare la testa sotto quell'umida coperta tra le schegge di vetro e il puzzo di acqua putrida. Nella penombra di quel drappo funebre la tua guancia sfiora qualcosa di freddo e stranamente solido ed intatto, sollevi la testa ed un forte odore di polvere da sparo ti aggredisce le narici; -...E' la calibro 45...-, non può essere altro che il revolver che tenevi nascosto sotto il televisore per evitare che la Mallory lo trovasse quando eri fuori. Eri certo che quell'impicciona saliva nella tua stanza quando andavi al market di Margie street o alla farmacia a comprare le pillole; avevi fatto bene a nascondere la pistola ed ora eccola qui, silenziosa come l'ultimo passeggero del tram al capolinea che fa sussultare il conducente, inattesa come il cubetto di ghiaccio sul fondo del bicchiere dimenticato dopo aver chiuso come al solito gli occhi per l'ultimo sorso. Non hai mai pensato alla morte, deve essere come la vita senza poter correre con Bill Jordan in terza base, senza poter giungere a El Paso in cerca della prossima vittima, senza rincorrere Road runner e finire nel consueto canyon, senza...televisore, senza alcool per far scorrere le ore, senza pillole per dormire. Ed ora l'alcool è tutto sparso sul pavimento, le pillole non ricordi dove sono, la Mallory sta abbattendo la porta a testate, il televisore è...morto ( e forse ti chiama !). Marta von Korge in Mallory sfonda la porta all'unisono con il sordo colpo che ti attraversa la gola, non è poi tanto peggio di tanta robaccia che hai ingoiato, solo che questo è l'ultimo sorso.

CAPITOLO II° -...Mr Elliot ?...Mr Theodor Elliot ?...- ti volti per intercettare il punto da cui proviene la voce, e possibilmente il suo possessore, ma dappertutto c'è soltanto questa musica. Si direbbe il Bop più eccitante che tu abbia mai sentito, giureresti che è lo stesso Charlie Parker a soffiare dentro il suo strumento seduto al tuo fianco, lo giureresti se non sapessi che fosse...- Morto !-. L'improvvisa fulminazione ti fa perdere l'equilibrio e ti accorgi di precipitare; non ti resta altro da fare che muovere queste maledette...- Ali ?!?-. -...Mr Elliot, sono qui, dietro di lei, proprio sopra questa nuvola...-. Questa volta sei proprio sicuro di non esserti sbagliato, non era affatto una voce quella che hai.."sentito", piuttosto una specie di messaggio telepatico, qualcosa che si muove parallelamente con il flusso dei tuoi pensieri. - Vuoi vedere che non sono neanche riuscito a togliermi la vita ? - Pensi, - ...C'è riuscito eccome...- risponde immediatamente la voce da dentro. Attraverso la nuvola scorgi che sta emergendo (mi vergogno quasi a dirlo) un...una specie di cane con due grosse ali proprio sopra la schiena, piantate lì come le bandierine sopra i tosts al drive-in. Ma, non è proprio un cane, è tutto bianco, no, è come le meringhe appena uscite dal forno, non ha occhi, orecchie, bocca, insomma, come direbbe quel filosofo greco (mi sembra), che studiasti al liceo "Lincoln" con Mrs. Allison, è un'idea di cane. - Grazie del complimento - fa lui per niente turbato di rappresentare una così metafisica stranezza. - Vedo che hai compreso subito dove ti trovi - continua - ...ciò che ti sta di fronte non è affatto il vecchio Cyki di cui ti sbarazzasti ai docks di Portland, bensì la sua...- , - ...Non dirlo,- lo interrompi - non dirlo ti prego...la sua ANIMA ?-. - Centro !!!- risponde il cane - Ho sempre pensato che in quell'ospedale, a Seattle, non avessero capito proprio niente di quel brillante "pensatore" che ogni mattina ritrovavano sul terrazzo intento a lanciare la sua lenza in direzione degli alberi oltre il recinto -. - Dove mi trovo, Cyki ? (posso chiamarti così, non è vero ?). Dove diavolo sono finito ?- Dopo averti fatto notare che anche a te mancano occhi, naso, bocca, orecchie, e..., sì insomma tutto il superfluo, e che ora non sei altro che l'anima del povero Elliot che finalmente si è liberata, suo malgrado, dei legami terreni, alcool e pastiglie (e televisione), ti racconta, o meglio, ti trasmette in una frazione di tempo indescrivibilmente breve, o lunga, quanto può soddisfare la curiosità di un fratello minore il pomeriggio prima di portare una delle gemelle Orlosky al punto panoramico di Ridge Creek. Dunque, ricapitolando, non sei in paradiso, (fortunatamente non esiste, hai pensato, non avresti mai voluto avesse ragione tua madre quando ti veniva a prendere dietro la chiesa mentre spiavi le ragazze del coro indossare la tunica), sei in una dimensione, detta "prima casa", nella quale sostano le anime in attesa di rivestire i panni di qualcun'altro, un po' come facevi quando rubavi i vestiti che Ma' lavava al reverendo O'Raley, per andare ad infilarteli nel garage. Ancora una curiosità: - Ma è proprio il vecchio Charlie Parker ? -, alludendo alla musica. - Certo che è lui, e riesce ad andare avanti per secoli se nessuno lo disturba, o almeno sin quando è il suo turno, cioè sino a quando sarà pronto a nascere di nuovo uno come lui - . Provi a farti un giro con le nuove ali ma non appena ti sei allontanato di qualche nuvola, ritorni sulla tua scia per soddisfare un dubbio al quale inizialmente non avevi dato importanza, un po' come quando dopo una scazzottata ci si conta i lividi. - ...E...LUI ? C'è ? - - Credo di si, ma da queste parti non si fa mai vedere. Alcuni dicono che sia sempre quì, ma contemporaneamente sento altri che giurerebbero di averlo visto da un'altra parte.- - Da un'altra parte ???- - Si, in un'altra casa, una di quelle più...più sù, credo.- - Un'altra dimensione...?- - Appunto ! Charlie dice che ci va spesso quando comincia a soffiare dentro il suo sassofono.- - Credi mi ci porterebbe ? - A questo punto Cyki, con un colpo d'ali improvviso, decolla verso un gruppo di nuvole dove stanno seduti una serie di strane figure alate, o almeno ti sembra di percepire la loro presenza, lasciandoti alle sue spalle con un enigmatico: "Lascia perdere !", ricordandoti le mattine all'uscita di qualche bettola ai docks, quando gli giuravi sarebbe stata l'ultima, (nemmeno il cane ti credeva). Sebbene tu non sia affatto stanco, decidi di sederti proprio sotto un grosso fungo che produce una piccola zona d'ombra, e mentre ti rilassi, cominci a percepire quelli che ora ti appaiono nitidamente come i pensieri di colui che ti ospita. Molto presto il fungo tornerà da dove già è venuto diverse volte, ed è pronto a scommettere che stavolta rinascerà come una robusta e magnifica quercia, così ragionando assume quell'espressione di quando il signor Hutchinson corre nel retrobottega del suo negozio, per telefonare al suo bookmaker, certo di aver in mano una dritta sulla quarta corsa. Quando eri ancora..vivo, spesso ti succedeva di svegliarti con un motivetto che ti ronzava ossessivamente in testa, come se ti avesse accompagnato per tutta la notte; poi, nel corso della mattinata si dileguava, come quelle colonne di vapore ad ottobre sopra il lago Vernon (dove Pà aveva il capanno di caccia), per lasciare il campo a quei ben più sinistri nuvoloni, carichi di pioggia e presagi, che si facevano largo scendendo tra gli abeti del versante ovest del monte Pinewood. Nel primo pomeriggio già qualche strana idea aveva occupato la tua mente, e, pesante come le prime gocce del temporale, quella ingiustificata sensazione di possedere quel briciolo di autocoscienza in più, da consentirti di determinare con maggior efficacia il tuo avvenire, a differenza del resto dell'umanità, (paradossalmente è una delle sensazioni più diffuse che ci siano). E' quello che ti convinse a lasciare l'università del Massachusetts, per tornare in una sera di aprile, accompagnato dal fruscio di un milione di nuove foglie sugli alberi del viale, che conduce dalla stazione alla vecchia casa di Layton street. A raccontare a tuo padre che avresti preferito fare l'agricoltore, e che la squadra di base-ball del campus avrebbe dovuto attendere invano il suo lanciatore. E' quello che ti impedì di amare Virginia come una donna semplice, forse poco impegnata ad evitare che i suoi compagni di college partissero per la Corea, ma che, come tutte le ragazze del Vermont, sanno tirare avanti la baracca anche quando il loro uomo passa più tempo a baciare il collo della bottiglia che il loro. Dunque, questa stramaledetta sensazione, eccola all'orizzonte di un cielo già nero di fuliggine, insinuarsi nella tua mente già provata dal susseguirsi degli ultimi avvenimenti, ansiosa di procurare più danni possibili, come l'interbase quando annusa l'eventualità di una doppia eliminazione. - Se questa strada può essere percorsa in una direzione, potrà esserlo anche nell'altra..-, pensi -...da un lato l'umanità, dall'altro la divinità.- Per quel lettore che non sia mai stato colto a trafugare vecchi pezzi di motori dentro uno dei tanti depositi di automezzi dell'esercito, nei dintorni di una delle tante città, di uno dei tanti territori del nord-ovest, da uno dei tanti guardiani praticamente sordi, ma con uno dei tanti cani con i denti più aguzzi di un coyote, sarà difficile seguire lo sviluppo dei pensieri che ora ronzavano nella mente di Elliot. Ebbene, per impedire che il cane del guardiano notasse troppo presto un'estranea presenza dentro i confini del recinto, era necessario raggiungere l'ammasso di rottami con le torce spente, pregando perchè le nuvole, oscurando la luna, concedessero il tempo necessario per percorrere il tratto, in leggera discesa, sino alla prima "collina di latta". Soltanto alla distanza di qualche metro da quell'allora inestimabile miniera di carburatori e pezzi di ricambio per le più assurde automobili, per scarrozzare le più assurde ragazze, ai più assurdi balli scolastici, una asmatica torcia elettrica si accendeva. Il fascio di luce, con difficoltà, illuminava ciò che stava davanti, concedendo di ammirare solo un pezzo per volta l'inestricabile mucchio di ferraglie arruginite. Solo un diabolico, quanto fortunoso talento concedeva al Joey apprendista meccanico di turno, di riconoscere qualche bullone o qualche tubo che meritava di essere ripulito dalla ruggine. Così sono i tuoi pensieri in questo istante, Elliot, e, per chi non è, o non ha mai conosciuto un'apprendista meccanico, sono ancora più intricati di mille ammassi di rottami, da districare alla luce di un fiammifero. La cosa buffa è che al ritorno affannoso da queste battute notturne, molto spesso, quello che alla luce della lampada sembrava un insperato ritrovamento, un prezioso bullone, un "magico" carburatore, rivelava la sua vera identità di rottame, buono solo a riparare i topi dalla pioggia. Ma questo ancora non potevi saperlo...

CAPITOLO III° Alcune anime sono davvero bizzarre, ma la tua ha conservato quel pizzico di follia che la fa sembrare ancora più bizzarra. - Dunque...- pensi -...se tutti i miei eterei colleghi aspettano con ansia il momento di tornare giù, a reincarnarsi, credo si dica, in un corpo, magari meglio carrozzato del precedente, suppongo sia possibile risalire per lo stesso sentiero, in direzione opposta, sino ad arrivare, forse, vicino a...Dio !- Bisogna sapere che le anime rappresentano la sostanza di ogni individuo, e pertanto nella loro sintesi spirituale concentrano oltre all'idea di "umanità", anche quella caratteristica peculiare che rende un individuo ciò che è, cioè diverso dagli altri : singolare. Il prodotto di tale metafisica astrazione, che è l'anima di Elliot, è un concentrato di tali contraddizioni che la rende unica al mondo.....cioè, unica all'ipermondo. Un miscuglio così micidiale riesce veramente poche volte. Cercare un'opportuna morte, possibilmente poco dolorosa, che ti consenta una dipartita da questa dimensione, verso più alte sfere, diventa quindi la tua assillante, (quanto inquietante per le altre anime), preoccupazione. Come possa questa essenza, per definizione immortale, immaginare la propria fine è assurdo almeno quanto scommettere su "Wet Bread" nella sesta corsa; ma un giorno Elliot lo fece, puntandoci ben 20 $,...e...perse ! Se ho capito bene, questo è il tuo ragionamento, filante come la Highway 61, ed in grado di unire due culture così diverse, quella dell'est con quella dell'ovest, come quelle soluzioni che sono così razionali da sembrare illogiche. - Se l'anima prende vita liberandosi dal corpo nell'atto della morte,- sostieni, atteggiandoti come hai visto fare da qualche professorone di Harvard in Tv, -...ritornandovi, non può che andare incontro ad una piccola morte, ripercorrendo lo stesso tunnel a ritroso, partecipando il principio vitale anche al corpo.- E ciò è vero, tanto da aver fatto esclamare a più di un esimio pensatore dell'antichità che : "...il corpo è la tomba dell'anima". - La nascita dell'anima, deve dunque avvenire nell'altra direzione,- affermi, cercando di convincere anzitutto te stesso, -...verso cioè quello che apparentemente rappresenterebbe la sua morte.- In breve, giungi alla conclusione che per morire devi passare attraverso la negazione assoluta di ciò che rappresenti in quanto principio vitale, in quanto essenza. E poichè essa è principalmente sostanza individuale e singola, solo l'unione con una molteplicità indifferenziata può rappresentare la contraddizione in assoluto. La cosa è più semplice a sperimentarsi che a dirsi, come cercare di spiegare alle solite gemelle Orlosky che intendi baciarle, prima di abbassare lo schienale del sedile dell'automobile sulla quale sono salite, facendoti credere di averle raggirate, con uno dei trucchi del ragazzo più furbo del quartiere. - Un unione di anime !!! - Ti apposti in un...angolo di una nuvola, puntando la tua preda e sperando di avere più fortuna delle feste danzanti la sera del Giorno del Ringraziamento. Un'anima si avvicina ignara, muovendo con indicibile grazia le sue ali, in un attimo sei su di lei, accompagnato dalle note di un melodioso inno, approntato per l'occasione : - .....Aspettami Dio, sto arrivando !- La...fusione di anime ottiene l'effetto desiderato, il principio individuale si dissolve nella dualità. Elliot, Elliot,...ma dove diavolo sei finito...,non è possibile che tu sia scomparso dal mio racconto.....ehi!, ehi!, ehi!...aspettate tutti, che sta succedendo ??? Elliot, è...contro ogni logica, tu non puoi fare quello che vuoi, tu sei soltanto frutto del mio...del mio.....pensiero. Pensiero ? Pensiero...pensiero ! Ci sono, pensiero, sii ! pensiero, ecco la risposta. Dunque, torniamo indietro di qualche passo, mentre te ne stai in agguato, in attesa di giocare la tua carta, come al tavolo del poker subito dopo aver detto "Vedo !". Ah! Benissimo, rieccoti qui ! Mi ero preso un tale spavento. Ora sei nelle mie mani più che mai, sei quì solo per concretizzare le mie storie, i miei desideri, il mio pensiero..., ed io ho intenzione di condurti vicino, sempre più vicino a quell'idea di essenza che considero reale, forse non la tua, forse non il tuo...Dio. E' inutile che ora cerchi di fuggire, a nulla ti servirà nasconderti dietro quelle eteree nebbioline, dal momento che posso farle dissolvere in un battito di ciglia. Mi basta davvero soltanto un istante, chiudo gli occhi, anzi, chiudiamoli assieme, stiamo per assistere all'ultima metamorfosi di Elliot. Non urlare, in fondo ti porterò proprio là dove volevi andare, vicino, vicino, sempre più vicino... Riapriamo gli occhi, poichè la curiosità è una caratteristica di noi umani, non certo di un dio. Ora sei perfetto, o quasi, beh ! forse non te lo immaginavi proprio così vero ? Sei veramente un delizioso...ATOMO ! Devi soltanto attendere che qualcun'altro come te ti urti (e stai tranquillo che avverrà molto presto, secondo i calcoli probabilistici), alla giusta velocità, all'interno di un preciso sistema di parametri fisici, per trasformarti in...ENERGIA PURA. Beh ! ora devo andare, ti saluto Elliot,...oh! scusa, ELIO !

* * Nota : L'energia che si sviluppa nelle stelle deriva da due processi fondamentali, conosciuti come catena protone-protone e ciclo del Carbonio. In sintesi, due protoni collidono formando un nucleo di Elio 2 instabile che, o si scinde di nuovo in due protoni, o subisce un decadimento beta, trasformandosi in un deutone. Il nucleo di deuterio, entro due secondi, reagisce con un protone producendo Elio 3. Ognuna di queste reazioni contribuisce a fornire l'energia che serve a far "ardere" una stella, forse il Sole, che consente la vita anche sul nostro pianeta.

EPILOGO Ci sono speranze che Elliot ritorni fra noi ? Più di quante lui stesso si concederebbe, o almeno più di quante gliene concederebbe il suo cane, o io, o voi. Dall'universo di pura fisicità, dove ora si trova, (tanto reale quanto inconoscibile), pura energia e quindi pura materia, necessita di un pensiero che lo fissi, consentendogli di indossare la prima pelle di cui tutti noi siamo rivestiti : "l'essere percepiti". Entrare a far parte di un pensiero privato o collettivo, essere rivestito di significato, divenire da ammasso di atomi, un insieme interpretato, ma non ancora in grado di interpretare. Ora tocca all'universo culturale fare la sua parte, attribuire un valore ad ogni suo gesto e consentirgli a sua volta di donare significati a ciò che lo circonda, affinchè da uomo divenga PERSONA. Tre volte è morto per rinascere altrettante volte, poichè tre sono le realtà che in noi convivono : la materia, il pensiero, la cultura. (L'Atomo, l'Uomo, la Persona.)

venerdì, luglio 21, 2006

Per una volta

Stamane
la vita è dolce
tu, stai dormendo
il mondo è mio
io sono il bianco
tu, quello nero
per una volta

Questo pomeriggio
la vita è dolce
tu, stai dormendo
il mondo è mio
io sono il giusto
tu, quello sbagliato
per una volta

Questa sera
la vita è dolce
tu, stai dormendo
il mondo è mio
io sono amato
tu, quello odiato
per una volta

Questa notte
la vita è dolce
tu, stai ancora dormendo
il mondo è mio
io sono vivo
tu, quello morto
per una sola volta

lunedì, maggio 29, 2006

Percorsi

Il mattino ci illudiamo,
il meriggio illudiamo gli altri,
il vespero ci illudiamo di averli illusi
...e mi illudo che torni il domani.

sabato, aprile 22, 2006

Far away

Sono già molto lontano
...troppo,
ma mi sento come
aver appena varcato la porta di casa.